Great Zimbabwe, la più antica città dell’Africa del Sud.
Durante le vacanze estive di quest’anno, dopo aver visitato il Kruger National Park ci siamo diretti verso Great Zimbabwe, un’antica città dell’Africa del Sud il cui nome deriva dalla lingua shona “dzimba dza mabwe” e significa “case di pietra“. In effetti le rovine che ancora oggi si possono visitare (e che si estendono in un’area di 7 km²) appartengono tutte ad edifici e cinte murarie realizzati con grandi massi e blocchi di pietra incastrati l’uno sull’altro.
Great Zimbabwe è divisa in due:
- la collina, il centro rituale della città in cui si trovava anche l’appartamento reale
- le valli, ovvero le zone abitate dal resto della popolazione (al suo massimo splendore si ritiene che la città ospitasse circa 20.000 abitanti)
Passeggiare tra le rovine della città è molto interessante non solo dal punto di vista storico-archeologico ma anche paesaggistico, per via degli spettacolari panorami a 360 gradi che si possono ammirare dalla sommità del colle su cui si ergeva la reggia di Great Zimbabwe. La visita non è particolarmente impegnativa, servono però un paio di buone sneakers da trekking per evitare che scivolare sulle rocce! 😉
Un po’ di storia
I primi portoghesi che esplorarono la zona trovarono Great Zimbabwe già abbandonata. Dalle prime indagini l’archeologo James Theodore Bent (che lavorava per la Ancient Ruins Company di Cecil Rhodes, il famoso imprenditore britannico che per primo scoprì e sfruttò le ricchezze dell’Africa del Sud) dedusse che la città non fu edificata da nativi africani, bensì da popolazioni di origine fenicia o araba. Il primo a smentire tale teoria fu il britannico David Randall-MacIver: nel suo saggio ‘Medieval Rhodesia‘ del 1905 osservò che molti dei reperti ritrovati erano di origine africana, segno evidente che i costruttori della città erano autoctoni. Le sue affermazioni, tuttavia, non furono ben accette al popolo inglese, poco propenso a riconoscere grandi capacità agli indigeni, e gli studi vennero bloccati per circa un ventennio. Nel 1929 Gertrude Caton-Thompson riprese gli scavi e due anni dopo pubblicò ‘The Zimbabwe Culture: Ruins & Reactions‘, un saggio in cui dimostrava che la cultura di Grande Zimbabwe era non solo africana, ma chiaramente correlata a quella del popolo Shona. Oggi giorno si ritiene che la città sia stato il centro dell’impero di Monomotapa, un vasto regno di etnia shona che controllava la regione compresa fra gli odierni Zimbabwe e Mozambico. Tutt’ora non si conoscono i motivi per il quali il sito fu abbandonato, anche se si ipotizzano una grave carestia o una forte crisi economica.
Great Zimbabwe è stata talmente importante per la storia del Paese che Robert Mugabe, il primo presidente nero eletto nel 1980, decise di trasformare il precedente nome di Rhodesia del Sud nell’attuale Zimbabwe, prendendo la scultura di un uccello ritrovata tra i reperti come simbolo nazionale (l’uccello di Zimbabwe, appunto, presente nella bandiera del Paese). Il sito fu dichiarato Patrimonio dell’umanità UNESCO nel 1986.
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